‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

12 gennaio 2015

Cosenza, la città di Alarico (???)

 per la serie ''La città di...''
Un re e un tesoro mai trovati

Una leggenda narra che Alarico I re dei Visigoti, morto forse in Calabria durante le sue razzie, sia stato seppellito nei pressi di Cosenza con il suo tesoro. Da oltre 1600 anni in tanti cercano la sua tomba, ma non solo: sempre in questo arco temporale sono stati scritti romanzi, poesie e articoli di giornali sulla base di un fondamento storico molto labile.

Cassiodoro, magister officiorum di Teodorico, su richiesta di quest'ultimo scrisse la “Historia Gothorum” per glorificare la dinastia del re ostrogoto (il ramo orientale dei Goti). L'opera è andata perduta, non prima però di essere stata letta da Jordanes, goto romanizzato che intorno al 552 d.C., confidando sulla sua memoria, delineò la storia del suo popolo in “Getica”, utilizzando i fatti narrati da Cassiodoro. Molti studiosi ritengono che l'opera sia mitologica, i più scettici si interrogano addirittura se Jordanes sia davvero esistito. Alarico compare in poche righe dei “Getica”, quindi la storia è davvero scarsa, non suffragata peraltro da alcun ritrovamento riferibile alla sua persona.

Ma la ricerca del tesoro è stata una costante nel corso dei secoli: a rabdomanti pugliesi, donne francesi e gerarchi nazisti si sono alternati ricercatori locali, sognatori, tombaroli e re che speravano di trovare l’oro di Roma. Sì, anche sovrani che volevano sovvenzionare gli scavi nel Busento. Risale, infatti, al 1952 l'emissione di un libretto di deposito al portatore da parte della Cassa di Risparmio di Calabria, Direzione generale Cosenza che, intestato a “Fondi scavi Alarico”, riporta due versamenti: uno di diecimila lire e l'altro di quattrocento lire. Sembra che in quell'anno si trovasse a Cosenza re Gustavo di Svezia che, avendo saputo di alcune ricerche intraprese per ritrovare il tesoro di Alarico, versò la cifra di diecimila lire per finanziare in parte l'operazione. Una leggenda nella leggenda? Forse.

Spesso la 'faccenda Alarico' è diventata un tormentone estivo: archeologi in erba ed esperti dell'ultima ora hanno riempito le pagine dei quotidiani locali indicando nuovi o vecchi siti come la tomba del re goto. Le dispute sull'ubicazione della sua tomba si sono sprecate, ognuno l'ha localizzata secondo il suo estro, senza addurre mai una prova, un reperto. Tutti archeologi dilettanti che stimolano la fantasia del lettore con la riscoperta di antiche leggende. Entusiasmante. Ma dove sono gli ori, le armature, gli scudi?

Molti studiosi hanno asserito nel corso degli anni di aver individuato la tomba in diverse aree fluviali, vicino Cosenza, ma senza esito. Un'affascinante ipotesi localizza il luogo della sepoltura di Alarico nel misterioso antro dell'Alimena, pauroso strapiombo di rocce che separa Mendicino da Carolei, a 5 km da Cosenza, la cui profondissima gola è attraversata dal fiume Acheronte, un torrente che nasce da monte Cocuzzo e confluisce nel Crati sotto il ponte di Carolei. Il tratto dell'Acheronte sotto l'Alimena è balzato agli onori della cronaca per l’ipotesi di localizzazione del tesoro di Alarico in una delle grotte situata nelle rocce. Ma la leggenda narra che Alarico è stato sepolto nel Busento, non vicino l'Acheronte, che è così definito dalla notte dei tempi. Continuando a sviscerare 'l'affascinante ipotesi', gli autori hanno individuato in una delle suddette grotte un piccolissimo altare di pietra, lillipuziano quasi, sotto il quale sarebbero le spoglie e il tesoro del re visigoto. Non sappiamo cosa li abbia spinti a formulare 'l'affascinante ipotesi', considerato che un po' di terra smossa vicino a ciò che è stato definito un altare non prova nulla. Invece sembra che queste grotte siano frequentate da gruppi che non sono affatto interessati a trovare la tomba di Alarico o il suo prezioso tesoro e le sue armi. La loro ricerca è concentrata su un solo oggetto, frutto della razzia compiuta da Alarico nel sacco di Roma del 410 d.C.: la sacra coppa del Graal, in cui, secondo il racconto biblico, Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Gesù sotto la croce. Si narra, infatti, che i Romani lo avessero rubato nel tempio di Gerusalemme alcuni secoli prima del 410 d.C., anno in cui Alarico devastò e saccheggiò Roma e si impadronì di un tesoro inestimabile che portò con sé nel suo viaggio verso l'Africa. Fermato a Cosenza dalla malaria, la leggenda vuole che qui sia stato sepolto con tutto il suo oro, quindi con il bottino di Roma. Non sappiamo se ci fosse anche il sacro Graal, ammesso che esista, ma da quel momento in poi iniziò una ricerca che dura tuttora. Di tutte queste leggende, però, non c’è ad oggi nessun serio riscontro archeologico, nonostante nel corso dei secoli l’interesse sia stato sempre alto, tanto che prima della seconda guerra mondiale, sembra che Hitler, fanatico e dedito all’esoterismo, in pieno delirio di onnipotenza, inviò a Cosenza il suo luogotenente Himmler per trovare il Graal.

Su Alarico e sulla ricerca del suo tesoro si potrebbe scrivere un lunghissimo trattato. Di fantasia naturalmente, visto che le notizie storiche sono scarse e fors'anche dubbie e i ritrovamenti, ad oggi, inesistenti. Il tesoro proveniente dai saccheggi di Roma, che in tanti hanno cercato nei secoli, con ogni probabilità è stato portato via da Ataulfo, cognato e successore di Alarico e usato per le sontuose nozze con Galla Placidia, durante le quali ‘un grande tesoro fu messo in mostra’. Anche l'immagine finora attribuita a lui che lo ritrae giovane e con una scritta intorno, in realtà non gli appartiene, sebbene sia largamente utilizzata da operatori culturali e commerciali come un marchio. L'immagine che ritrae un busto e la scritta “Alaricus Rex Gothorum”, cioè Alarico re dei Goti si riferisce al re visigoto Alarico II, vissuto tra il 484 ed il 507 dopo Cristo, nel suo regno in Spagna, come potete leggere in un precedente post di questo blog.

12-1-15

©Francesca Canino

 

 

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